lunedì 3 gennaio 2011

L'importanza della cultura

Inizio augurando a tutti buon anno, sperando che a questo giro sia un anno speciale anche per me, ma per ora ho avuto più disgrazie che altro.

Oggi vi propongo un brano delle infinite letture che sto facendo in questo periodo: il brano è tratto da "Tutta colpa dei genitori" di Antonella Landi, libro regalato da me a mia mamma, ma che ovviamente passa di mano in mano dentro casa mia.

Questo libro l'ho iniziato a leggere ora, ma ci sono dei pezzi che vale la pena di leggere; uno lo riporto qui, sperando di stimolare la vostra curiosità.

"Del genitore che ha studiato
Quando ero bambina io, erano ancora tanti i genitori che non avevano studiato. Questo mal comune magari non si trasformava per loro in un mezzo gaudio, ma li poneva tutti su un medesimo piano in cui essi si riconoscevano e da cui riuscivano perfino a trarre picchi d'orgoglio. Spesso, infatti, l'unico motivo per cui non avevano studiato era di tipo esclusivamente economico. Non avevano studiato perchè erano cresciuti insieme a 15 fratelli, perchè dei loro due genitori solo quello maschio lavorava, perchè di conseguenza i soldi erano pochi e perchè il lavoro minorile non era considerato uno scandalo come oggi, ma un atto d'amore, di devozione e di dovere morale nei confronti della famiglia a cui si apparteneva.

Se in qualcuna delle famiglie economicamente in difficoltà emergeva una mente dotata, capitava che i genitori si facessero in quattro per garantirle una formazione scolastica adeguata. Il proprietario di suddetta mente, così, salvato da un futuro come "vile meccanico", veniva mandato a scuola. Egli percepiva quell'occasione come l'Occasione, quell'evento come l'Evento. Andando a scuola, egli si sarebbe elevato, si sarebbe distinto, si sarebbe salvato. La scuola diventava l'àncora di salvezza e il professore un braccio teso, aggrappandosi al quale si poteva riemergere dal mare d'ignoranza e diventare... qualcuno.

Diventare qualcuno, a quei tempi, non significava finire in televisione a fare il burattino vociante, la velina scosciata, il politico puttaniere o la puttana del politico. Significava saper parlare, conoscere l'etimologia delle parole, masticare agevolmente di filosofia, citare poesie eterne, succhiare dalla cultura il nettare laico ma etico ch'essa elargisce, puntare a un lavoro la cui qualità fosse determinata non dallo stipendio mensile ma dalla soddisfazione provata a esercitarlo e dalla ricaduta sociale conseguente, distinguersi dalla massa, ma nel bene. Diventando cioè migliori della massa, non uguali ad essa, o peggiori.

Nella società dei genitori che non avevano studiato, il colloquio con chi invece lo aveva fatto si basava su una forma di rispetto che induceva l'ignorante a prostrarsi anche eccessivamente al cospetto dell'erudito. Il quale, se era solo erudito ma non colto, poteva provare ad approfittarsene.

Un genitore privo di titolo di studio non si sarebbe mai permesso di mettere in discussione le scelte didattiche di un insegnante, nè di criticarlo palesemente e sfacciatamente al cospetto del figlio per un voto affibiato. Non lo faceva perchè sentiva di non averne in mano gli strumenti, ma ancor di più perchè - pur nell'ignoranza che lo avvolgeva, o anzi, proprio in virtù di essa - percepiva spontaneamente il clamoroso errore educativo che in quel modo avrebbe fatto.

Screditare un professore agli occhi del figlio aiuta il genitore ad allearsi il figlio con facilità, ma crea una spaccatura insanabile tra gli adulti stessi che invece, a occhi adolescenti, dovrebbero apparire uniti, compatti e inscindibili.

Oggi questa spaccatura è all'ordine del giorno.

Oggi molti genitori hanno studiato. E questo è senza alcun dubbio un bene. Hanno studiato perchè tutte le famiglie d'origine di chi oggi viaggia sui quarant'anni potevano permettersi di mandare a scuola i figli messi al mondo. Purtroppo però, quei figli di allora che hanno studiato, nella maggior parte dei casi non hanno capito il valore inestimabile del giochino a cui erano stati iscritti. Hanno vissuto l'Occasione come un'occasione, l'Evento come un evento. Hanno affiancato lo studio alla perpetua lamentela di dover studiare, tentando di sottrarsi all'obbligo più produttivo che in realtà a ogni individuo sia dato di provare nella vita. Hanno inventato nuovi verbi (bigiare, fare forca, marinare) per giustificare la preferenza attribuita, tra scuola e circolino ricreativo, al circolino ricreativo. E, una volta terminati quegli studi, sono diventati presuntuosi e pure un po' arroganti.

Oggi i genitori che hanno studiato si presentano ai colloqui con i professori dei loro figli e credono di poter insegnare loro a svolgere una tra le professioni meno insegnabili. E questo sarebbe il male minore, risolvibile con una frase (gentile genitore, si faccia le professioni sue) breve e chiara nonostante la celata metafora.

Il dramma esplode quando i genitori che hanno studiato mettono in moto il deprecabile meccanismo di infamare i docenti dei loro ragazzi parlando coi loro ragazzi stessi.

"Mamma, quello di filosofia mi ha dato tre". "Quello di filosofia è un deficente: domani ci vado a parlare io e gliene canto quattro".

Dove vuoi andare? Dove vuoi cantare? Stai a casa tua, genitore che hai studiato, e - proprio perchè hai studiato - canta a quel ragazzo che hai messo al mondo di studiare più di te e di fare dello studio dello studio un veicolo di educazione, buon gusto e civiltà.

E cantagliela per il verso giusto, quella canzone, cantagliela con umiltà, senza fargliela passare: perchè non esiste spettacolo più odioso agli occhi di uno studente di un genitore che, per spingerlo ad acculturarsi, faccia sfoggio di cultura."