mercoledì 29 settembre 2010

Il numero chiuso è un bene per l'università e per gli studenti

Puntuale a metà settembre arrivano le proteste degli studenti contro le riforme di turno e contro gli errori nei test di ammissione all'università che prevedono l'accesso col numero chiuso.

Quest'anno nell'occhio del ciclone è finita la facoltà di medicina di Firenze dove la prova si è svolta in un'aula che aveva alle pareti la tavola degli elementi della chimica.

Il putiferio che si è scatenato ha ridato fiato a coloro che vorrebbero abolire il numero chiuso sostenendo che impedisce ai giovani di seguire la loro vocazione.

A parte il fatto che questa modalità do accesso all'univeristà è adottata in tutto il mondo occidentale, gli argomenti a suo favore sono solidi.

Innanzitutto evita di inflazionare il numero di laureati in un certo settore con conseguente difficoltà o impossibilità di trovare un lavoro attinente a ciò per cui si è studiato. E già questo non è poco.

Ma il numero chiuso serve anche ad adeguare gli iscritti alla possibilità didattica (aule e docenti) e di strutture (laboratori) presenti alle università.

Ridurre quindi gli iscritti alle necessità del mercato e alle capacità di accoglienza degli atenei significa avere laureati migliori e far risparmiare parecchi soldi alle università. Soldi che potrebbero andare a finanziare la ricerca.

Bene fa quindi il ministro Gelmini a voler estendere anche alle facoltà letterarie il numero chiuso senza il quale si continuerebbe a perpetrare il dramma dei precari nella scuola.

martedì 28 settembre 2010

COMUNICATO STAMPA : ISEE

In questi giorni ho letto sulla stampa degli interventi relativi agli indici ISEE. S tratta di un grosso problema. Già due anni fa presentai in commissione una proposta per il regolamento dei servizi sociali per le persone con disabilità. Perché se la questione è grave per i cosiddetti “normodotati”, figuriamoci per un disabile. E’ un tema che va affrontato e che non si può più accantonare.

Ormai la nostra società sta cambiando, i poveri aumentano, e bisogna studiare una nuova politica che vada incontro a queste nuove esigenze. Intanto si potrebbe aggiornare e rivedere il regolamento Isee , secondo il quale oggi è praticamente impossibile ottenere un aiuto. Troppi sono i paletti, troppo basso è l’indice, e soprattutto il riferimento temporale dell’anno precedente è sbagliato.

Mi sono trovata a cercare aiuto per persone che avevano perso il lavoro di punto in bianco, e quindi non ricevevano più lo stipendio che percepivano l’anno prima: di fatto rientravano nella categoria degli aventi diritto al contributo, ma dovendo presentare la denuncia dei redditi dell’anno prima in cui lavoravano, non avevano diritto a niente.

Bisogna tener conto del cambiamento del panorama socio-economico e del nuovo scenario del lavoro.

Giusto il quoziente familiare, come si dice da più parti e come noi stessi sosteniamo, ma ricordiamoci degli anziani. Spesso l’anziano ormai vive solo, magari è parzialmente invalido se non del tutto, ma poiché è solo, non fa punteggio e quindi non ha diritto ad alcun contributo. Così per ironia della sorte, oltre che sentirsi abbandonato perché non ha il conforto della famiglia, non ha neanche un aiuto economico. Il futuro sarà pieno di anziani o vecchi, soli, con problemi di autosufficienza.

Non si può non tenerne conto.